Ultima modifica 08/04/2024
Paul Gauguin è stato un pittore francese, nato a Parigi nel 1848 e morto nella Polinesia Francese nel 1903. Questo grande artista è considerato tra i maggiori interpreti del post-impressionismo e come è capitato a tanti suoi contemporanei non è stato particolarmente apprezzato, fino a dopo la sua morte.
Gauguin oggi è universalmente riconosciuto e apprezzato per il suo uso sperimentale del colore e dello stile sintetista che si distinse profondamente da quello dell’impressionismo e di altre avanguardie storiche.
Le opere di Gauguin sono riconoscibili, in quanto il suo stile e i suoi soggetti erano davvero unici, questo non solo perché fu un grandissimo artista, ma perché fece scelte di vita particolarmente originali. Memorabile il suo incontro con Vincent Van Gogh, così come altri episodi che lo rendono quasi un personaggio leggendario nel mondo dell’arte contemporanea, che non a caso ha inevitabilmente e fortemente influenzato.
Indice
Paul Gauguin e il sintetismo
Con sintetismo si intende un modo di fare pittorico che, prendendo le distanze da qualsiasi tipo di realismo, si configura come un’elaborazione mentale, conseguentemente soggettiva e per certi versi quasi astratta. Tale approccio nei confronti della pittura sarà ampiamente accolto dal pittore francese Paul Gauguin, il quale sfrutterà la semplificazione delle forme e l’uso antinaturalistico del colore per la creazione di opere dal forte impatto emotivo.
Un buon esempio per meglio comprendere questo approccio all’arte si ha nella “Visione dopo il Sermone“, lavoro di Gauguin datato 1888, in cui i confini tra reale e irreale sfumano nella rappresentazione della visione evocata da una lettura religiosa nelle menti di alcune donne bretoni.
Vincent Van Gogh e Paul Gauguin, una grande pagina di storia dell’arte
Vincent Van Gogh e Paul Gauguin erano contemporanei e condividevano una grande passione o meglio un autentico e viscerale amore per l’arte. I due però erano persone molto diverse e una prova viene dalla loro non semplice convivenza.
Vincent Van Gogh e Paul Gauguin si ritrovarono a convivere per nove settimane in una piccola casetta gialla ad Arles, in Provenza.
Van Gogh si trasferì da Parigi alla piccola città francese di Arles nel 1888, con l’idea di fondare uno “studio del sud”, un luogo in cui personalità artistiche diverse potessero convergere per lavorare insieme e contribuire ad un concreto cambiamento di rotta per la pittura dell’epoca.
A guidare lo studio però, per Van Gogh, non poteva essere lui stesso, ma serviva qualcuno con maggiore esperienza e con una migliore reputazione artistica rispetto alla sua, perciò cominciò a scrivere a Gauguin, pregandolo di raggiungerlo. Complice anche l’insistenza del fratello Theo (che sponsorizzò economicamente il progetto), alla fine Paul Gauguin accettò, ma l’esperimento durò pochi mesi.
Si trattò di un periodo decisamente interessante, passato assieme dai due grandi maestri tra dipinti en plein air e lunghe discussioni, spesso accese.
I due pittori sperimentarono in quell’occasione diversi stili e tematiche, influenzandosi inevitabilmente a vicenda, nonostante le loro differenze di metodo e visione fossero notevoli.
Van Gogh aveva un approccio spontaneo ed emozionale, Gauguin invece era più razionale. Ad ogni modo questa collaborazione giovava a entrambi, anche se non mancavano di certo screzi e tensioni, come testimoniato ad esempio in alcune lettere di Vincent al fratello Theo.
Alcuni pensano che proprio in seguito ad un litigio con Paul Gauguin, Van Gogh si tagliò l’orecchio, ma in realtà si ferì con un rasoio, in preda ad una crisi, proprio per la decisione di Gauguin di concludere il loro sodalizio e di partire per la Bretagna.
Paul Gauguin dopo la parentesi con Vincent Van Gogh
Dopo il triste epilogo dell’esperienza artistica e di vita con Van Gogh nella «Casa Gialla» Gauguin ritornò in Bretagna a Pont-Aven. Il problema non fu solo il difficile carattere di Vincent, ma anche il fatto che il fratello investisse sempre meno denaro nel progetto.
Lasciatosi alle spalle l’incontro con Van Gogh, Gauguin decise di dedicarsi a far aumentare il più possibile la sua notorietà, ma non voleva fermarsi a questo, nel suo progetto di promozione rientravano tutti gli artisti cloisonniste (definizione che indica i pittori che sono soliti stendere i colori sul dipinto in vaste campiture omogenee).
Il suo progetto però non si concretizzò. La presenza delle dodici tele gauguiniane alla mostra dei XX tenuta nel febbraio 1889 a Bruxelles, ad esempio, si risolse sinteticamente e brutalmente in un clamoroso insuccesso, con tutti dipinti rimasti invenduti. Il mondo non sembrava pronto per prati rossi, alberi blu e cieli gialli, in grado non tanto di stupire ed emozionare, ma più che altro di suscitare ilarità tra il pubblico.
Ci fu però anche una voce fuori dal coro, il critico Octave Maus, che evidentemente aveva l’occhio lungo e la mente aperta e che si espresse con parole di sincera ammirazione nei confronti di Paul Gauguin, paragonandolo ad esempio a Cézanne e Guillaumin.
Non scoraggiato dall’insuccesso di pubblico, Gauguin decise di tornare a Parigi, che proprio in quell’anno ospitava l’Exposition Universelle, una fiera commerciale e al contempo scientifico-culturale che intendeva celebrare i fasti della produzione industriale.
In quel periodo Parigi si divideva sulla Torre Eiffel, che i più non sopportavano, ma che Gauguin difese, parlando in generale dell’utilizzo del ferro nelle architetture, come assolutamente lecito, purché privo di mistificazioni di sorta.
Gauguin, durante Esposizione Universale espose alcuni lavori assieme a Louis Anquetin, Émile Bernard, Léon Fauché, Charles Laval, George-Daniel de Monfreid, Louis Roy ed Émile Schuffenecker, nei locali del Caffè Volpini, a pochissimi passi dal Campo di Marte.
La mostra «impressionista e sintetista», come fu denominata dallo stesso Gauguin, fu accolta dall’usuale silenzio della critica e del pubblico, ma vista con curiosità da altri artisti che senza dubbio ne vennero ispirati non poco.
Va detto poi, che nonostante il nome dato al gruppo e alla mostra stessa, non c’erano impressionisti, forse quindi le aspettative vennero tradite e non a caso anche in questo caso, non si vendette neppure un singolo quadro.
Gauguin, un po’ sfiduciato, ma circondato da un alone di anticonformismo e di esotico sacralismo, iniziò a godere a suo modo di una sempre maggiore popolarità, specie nella scena artistica, ma anche in quella letteraria, grazie ad amicizie importanti come quelle con Mallarmé, Redon, Morice e il poeta Aurier, che in un articolo del 1891 ne difese apertamente la pittura.
Gauguin viveva un momento particolare, era inserito in un gruppo sociale, che ne riconosceva il talento, ma considerava la Francia poco stimolante per la sua arte, decise quindi, dopo aver vagliato il Madagascar e altre possibili mete, di partire per Tahiti.
Paul Gauguin, la fuga a Tahiti e il ritorno in Francia
Al pittore simbolista Odilon Redon, che gli aveva fatto un ritratto e cercò di dissuaderlo dal partire, Gauguin scrisse di aver deciso di andare a Tahiti per finire là la sua esistenza, ma le cose sarebbero andate diversamente.
Il 23 marzo 1891 Gauguin salutò gli amici simbolisti in un banchetto presieduto da Mallarmé tenuto nel loro ritrovo abituale del Café Voltaire di Parigi, e il 4 aprile partì per Marsiglia dove lo attendeva la nave per Tahiti.
Era riuscito a sovvenzionare il viaggio con il sostegno economico del governo francese, dal quale fu incaricato di recarsi a Tahiti per «fissare il carattere e la luce della regione». Una sorta di documentario, fatto di quadri, vissuto come una vera e propria missione scientifica. Una cosa oggi difficile anche solo da immaginare in questi termini.
Il viaggio da Marsiglia durò sessantacinque giorni, a causa dei lunghi scali, come quelli a Bombay, Perth, Melbourne, Sidney e Auckland.
Il 28 giugno 1891 alla fine Gauguin sbarcò finalmente a Papeete, capoluogo di Tahiti, presentandosi al governatore per specificargli la sua condizione di «inviato in missione artistica». Due settimane dopo il suo arrivo sull’isola, tuttavia, Gauguin ebbe la sfortuna di apprendere la notizia della morte di Pomaré V, l’ultimo sovrano indigeno di Tahiti.
Con l’amministrazione passata totalmente in mani francesi, quello che l’artista vedeva con chiarezza all’orizzonte era il tramonto di un’intera civiltà, contagiata dai costumi europei da cui lui stava a suo modo fuggendo.
Un barlume di speranza, tuttavia, sembrò accendersi in Gauguin quando partecipò ai funerali di Pomaré V, caratterizzati nonostante la presenza di europei da genuini caratteri e ritmi degli indigeni.
Dopo aver vissuto varie esperienze, non del tutto soddisfacenti, Gauguin conobbe Tehura, ragazza polinesiana, dalla personalità incontaminata e impenetrabile, definita come «buona selvaggia» perfetta per realizzare l’obbiettivo che si era prefisso.
Una volta imparati i rudimenti della lingua maori, Gauguin riuscì ad integrarsi piuttosto bene nella comunità indigena, ad assimilarne i costumi e le tradizioni, a familiarizzare con i loro stili di vita. Si stabilì in una capanna di bambù con il tetto di foglie di palma davanti all’oceano e passava il tempo a dipingere.
A Tahiti Gauguin realizzo un notevole numero di tele e si dedicò anche alla produzione di sculture in legno e in ceramica.
Non sentiva però di essere riuscito a completare la sua missione pittorica (artistico-scientifica). Era nelle sue intenzioni rimanere più a lungo a Tahiti, tuttavia il peso della solitudine e le ristrettezze economiche lo spinsero a tentare la partecipazione all’Esposizione Libera di Arte Moderna di Copenaghen, dove le sue opere rimasero come al solito invendute.
Nell’aprile del 1893, una volta ottenuto l’ordine di rimpatrio, Gauguin si imbarcò a Tahiti su una nave che, tre mesi dopo, lo condusse a Marsiglia, dove giunse molto provato fisicamente e con le tasche del tutto vuote.
Grazie al supporto, in primis economico, di amici come Paul Sérusier e George-Daniel de Monfreid (suo primo biografo) e alla predisposizione di una ricca eredità da parte dello zio Isidoro di Orléans, si rimise presto in piedi e pagò i debiti.
La sua esperienza tahitiana era finita (almeno per il momento), ma giocò questa carta per cercare di promuovere le sue opere, raccontando di condurre uno stile di vita bizzarro e disinvolto, nel culto della Polinesia e delle sue tradizioni esotiche.
Aprì un nuovo studio e lo decorò con manufatti maori, stoffe polinesiane, pareti dipinte in verde e giallo cromo e chincaglierie coloniali, aveva anche una scimmietta e un pappagallo.
Questo atelier non era solo bizzarro, ma davvero innovativo per l’epoca e suscitava quindi curiosità e interesse, oltre a tante critiche tra i (soliti) benpensanti parigini.
Grazie al supporto economico di Degas (ammiratore delle sue opere), Gauguin allestì nel 1893 una mostra personale presso la Galleria Durand-Ruel: le quarantaquattro opere esposte, tuttavia, furono accolte freddamente.
Gauguin sfruttò la sua avventura esotica anche sotto il profilo letterario, pubblicando libri propedeutici a una maggiore comprensione della sua pittura sulla base di alcuni manoscritti redatti proprio a Tahiti. Anche l’esperienza editoriale non gli portò però soddisfazioni economiche.
A dicembre Gauguin visitò per l’ultima volta la sua famiglia a Copenaghen e nel maggio del 1894, mosso da un’intensa nostalgia, fece ritorno nei suoi luoghi preferiti della Bretagna.
Gauguin e il primitivismo
Gauguin cercò di proporsi in Europa come un esperto di luoghi lontani, esotici e suggestivi e alcuni critici riconobbero e apprezzarono la valenza «primitiva» della sua produzione artistica. Per comprendere in modo adeguato il primitivismo di Gauguin e le sue vere matrici è però indispensabile collocarlo esattamente dal punto di vista storico e filosofico.
Quando Gauguin stava iniziando ad assecondare quella sete di evasione che lo condurrà a Tahiti, in Europa si era diffusa ormai capillarmente la filosofia positivista, si iniziava poi anche a conoscere la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin. L’interesse per il primitivo, l’esotico, lo straniero era notevole.
Da sempre disilluso dalla società moderna Gauguin fu animato sin da adolescente da un impellente desiderio di evadere dalla civiltà, considerata corrotta e corruttrice, Per lui le mete esotiche erano quindi ideali.
Gauguin non poteva fare a meno di sognare di abbandonare, una volta e per sempre, una realtà spregiudicatamente avida ed ipocrita, il fatto che avesse pochissima fortuna dal punto di vista commerciale, di certo non contribuì a fargli cambiare visione a riguardo. C’era poco per lui in Europa, non era davvero compreso, o apprezzato, non si sentiva a casa.
Alla base del suo peregrinare c’erano motivi di natura economica, ma anche un’insaziabile fame di stimoli visivi diversi. Voleva recuperare un linguaggio arcaico, immergendosi nel contesto naturalistico della Polinesia poteva farlo.
Gli ultimi anni di Paul Gauguin in Polinesia
Da dove veniamo? Chi siamo? E naturalmente dove stiamo andando? Sono domande che ci facciamo ancora oggi e che erano attualissime al tempo di Gauguin.
Gauguin non ne poteva più di rimanere in Francia e il 18 febbraio 1895 organizzò una vendita delle sue tele, questa volta un ricavato ci fu, anche se molto modesto. Quello che raccolte gli permise comunque di partire.
Raggiunse Papeete l’8 settembre e si trasferì nel villaggio di Paunaania, dove affittò un terreno sul quale, con l’aiuto degli indigeni, si costruì una semplice capanna. Visse in quel posto anni ricchi di emozioni e di avvenimenti, sia positivi che negativi. La sua salute non era delle migliori (a causa anche del suo stile di vita), ma aveva trovato in fine il suo posto nel mondo, tanto che nel giro di poco non ricette più notizie dai parenti rimasti in Europa.
L’isolamento affettivo non fu facile da accettare, tanto che Gauguin tentò di avvelenarsi. Anche queste esperienze estreme contribuirono a dar piena forma alla sua espressione pittorica, come nella monumentale tela Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, iniziata proprio poco prima del tentativo di suicidio, oggi conservata al Museum of Fine Arts di Boston.
Dopo aver prodotto un’impressionante mole di dipinti e scritti, Gauguin sentì l’esigenza di ricercare ambienti esotici più stimolanti e per questo motivo approdò all’inizio nel 1901 Hiva Oa, nelle isole Marchesi, a circa millequattrocento chilometri a nord-est di Tahiti. A Hiva Oa Gauguin recuperò le sue energie creative e diede vita a dipinti particolarmente riusciti e sereni, animati da un perfetto equilibrio tra il colore e la luce, oltre che a numerosi scritti.
La sua ostilità contro le autorità coloniali ed ecclesiastiche toccò i massimi livelli, tanto che il pittore fece attivamente propaganda presso i nativi perché si rifiutassero di pagare le tasse e non mandassero più i figli alla scuola missionaria, la vera scuola per lui doveva essere la Natura.
L’8 maggio del 1903 Gauguin, malato di sifilide venne ritrovato morto dal pastore protestante Vernier. Il vescovo Rogatien-Joseph Martin, accorso alla notizia vide bene di distruggere le opere che giudicò oscene, poi benedisse la salma e gli concesse una sepoltura, ma senza nome, nel cimitero della chiesa della missione.
La sua tomba fu ritrovata vent’anni dopo e vi fu posta una semplice lapide con la scritta «Paul Gauguin 1903».
Paul Gauguin, opere famose
In “Sala in casa dell’artista” si nota subito la scelta anticonvenzionale di porre in primo piano il grande mazzo di zinnie, soluzione che ricorda un po’ i tagli dati alle inquadrature da Degas.
I fiori sono invece ispirati a Monet e nella tavolozza e altre scelte si può cogliere anche un po’ di Cézanne. L’attenzione ai particolari rivela come l’artista sia ancora legato al naturalismo e al realismo appreso dai suoi maestri.
Alla ricerca di uno stile di vita primitivo, Paul Gauguin durante il suo primo soggiorno a Tahiti a partire dall’aprile del 1891, si ispira a quello che vede, ma anche ai racconti del posto e alle antiche tradizioni religiose, per raffigurare delle scene di fantasia. “Arearea” rappresenta una di quelle opere in cui sogno e realtà convivono, fa parte di un insieme di quadri tahitiani esposti a Parigi nel novembre del 1893, con i quali Gauguin vuole dimostrare quanto sia fondata la sua ricerca dell’esotismo.
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Lorenzo Renzulli
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