Ultima modifica 11/06/2024
Antoni Gaudí i Cornet è stato un architetto spagnolo, massimo esponente del modernismo catalano, ma etichettare questo straordinario creativo è davvero complicato.
Definito da Le Corbusier come il «plasmatore della pietra, del laterizio e del ferro», Gaudí fu un architetto piuttosto prolifico: sette delle sue opere a Barcellona figurano dal 1984 nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO, giusto per inquadrarne la dimensione straordinaria. I suoi lavori sono unici, iconici, visionari e ancora oggi amatissimi, non solo dagli estimatori dell’architettura e del bello, ma da semplici curiosi che non possono restare indifferenti davanti alle sue visioni, che hanno preso forma e trovato soluzioni statiche sorprendenti.
Indice
I primi lavori di Antoni Gaudì e le opere civili
Gaudí studiò architettura, ma inizialmente faticò a trovare un suo stile e una precisa identità, spesso ironizzava anche sul suo essere architetto, probabilmente non si sentiva del tutto tale (specie agli inizi).
Il Gaudí degli esordi aveva tanti riferimenti diversi e una certa incertezza, guardava con interesse al neogotico e ai testi di Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, era un entusiasta promotore di tale stile e quando visitò Carcassonne, il suo interesse per la cinta muraria era così contagioso che un abitante del villaggio medievale, scambiandolo per Viollet-le-Duc in persona, gli rivolse un saluto ossequioso, lusingandolo parecchio per questo fraintendimento.
Antoni Gaudì interagiva in modo intenso e appassionato con la scena sociale e culturale di Barcellona, era carismatico, ben inserito e aveva un preciso orientamento politico e ideologico. Era impegnato sul fronte sociale e si dedicò da subito al lavoro con grande rigore e forza. Il primo incarico che gli venne assegnato fu relativo alla progettazione di alcuni lampioni per la Plaça Reial di Barcellona per i quali ideò delle strutture a sei bracci rese particolarmente interessanti e originali grazie ad un decisamente moderno ed efficace connubio polimaterico, che metteva in comunicazione pietra e ghisa.
Anno particolarmente importante per Gaudí fu il 1878: non solo perché finalmente ottenne la sua laurea, ma anche per l’incontro con l’industriale Eusebi Güell, che lo conobbe in occasione della Esposizione Universale di Parigi.
Eusebi Güell era un uomo culturalmente molto attivo ed economicamente decisamente solido. Un uomo libero, aperto, curioso, che divenne una figura fondamentale per la carriera architettonica di Gaudí, il quale poté mettersi al servizio di quello che era a tutti gli effetti un mecenate, disposto a soddisfare anche i suoi più bizzarri capricci estetici, senza peraltro badare troppo a spese (cosa che di certo non gustava).
Sotto la protezione di Güell, Antoni Gaudí riuscì a dare forma a diverse strutture destinate a divenire poi celebri icone dell’arte contemporanea, come i Padiglioni Güell, il Palau Güell e il Parco Güell, dove natura, scultura ed architettura si incontrano e confondono con grande maestria ed originalità.
Nonostante la carriera architettonica di Gaudí abbia preso avvio da una committenza pubblica (quella dei citati lampioni), il resto del suo percorso si sviluppo sopratutto nell’edilizia privata, con risultati decisamente brillanti: si pensi ad esempio alla casa Batlló.
Antoni Gaudí e La casa Batlló
La Casa Batlló è tra le più note e apprezzate realizzazioni di Antoni Gaudí, si trova a Barcellona, al civico 43 del Passeig de Gràcia. L’edificio, di straordinaria originalità e indubbio impatto estetico, è stato dichiarato, nel 2005, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
Nel 1904 Batlló, altolocato industriale del settore tessile, affidò ad Antoni Gaudì l’incarico di rimettere a nuovo un modesto palazzo acquistato l’anno prima e affacciato su una importante strada del quartiere modernista dell’Eixample.
Quella zona era stata scelta dalla borghesia catalana dell’epoca per ospitare i palazzi più imponenti e sorprendenti dell’epoca (c’era una sorta di gara tra ricchi, a chi creava il pi bello). La costruzione di Antoni Gaudì non tradì le aspettative, anzi se possibile le superò. Lo spazio a disposizione era stretto e allungato, dalla forma rettangolare, rappresentava sicuramente una sfida non facile per l’architetto catalano, che però è stata pienamente vinta.
La casa fu completata nel 1907, con Gaudì che andò a modificare notevolmente l’aspetto complessivo dell’edificio di partenza, rivoluzionandone in particolare la facciata principale, ma intervenendo anche con un ampliamento del cortile centrale ed aggiungendo due piani inizialmente non presenti nella costruzione originale. Al piano terreno c’erano le scuderie, destinate successivamente a magazzini e un androne. Il primo piano, quello nobile, fu destinato ad abitazione della famiglia Bernat, mentre negli altri quattro piani furono ricavati otto appartamenti da destinare all’affitto.
La casa Batlló alla fine del XX secolo è stata aperta al pubblico ed è ormai diventata una tappa irrinunciabile per chiunque visiti Barcellona. È stata dichiarata monumento storico-artistico nazionale nel 1969 e dal 2005 è entrata a far parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Quando Gaudí pose mano al progetto di ristrutturazione di casa Batlló era ormai entrato nella sua piena maturità stilistica: aveva abbandonato le scelte storiciste della gioventù e il suo stile architettonico aveva finalmente superato l’accademismo diventando assolutamente personale e del tutto unico.
Antoni Gaudí nella Casa Batlló non si concentra solo sull’estetica, ma da bravo architetto si occupa ad esempio di assicurare una buona aerazione e ventilazione, due criteri fondamentali per una fruizione sana e confortevole dell’abitato. Nell’edificio non a caso i vari corpi di fabbrica sono disposti intorno a uno spazio aperto centrale, il patio, con vani scale ed ascensore che assicura anche l’illuminazione.
La casa Batlló occupa un totale di 4300 mq, con 450 mq di superficie calpestabile per piano. Si sviluppa in altezza per 32 metri e in larghezza per 14,5, apportando pertanto un aumento significativo di quello che era il modesto fabbricato precedente.
Al di sotto del piano stradale c’è anche un seminterrato, utilizzato come magazzino; il piano nobile è interamente occupato dalla famiglia Batlló e contiene anche un ampio patio sul retro dell’edificio, mentre gli altri quattro piani contengono due unità abitative ciascuno. Vi è anche un soppalco, destinato all’area di servizio e coperto dal tetto a forma di dragone.
La prima cosa che sicuramente attira l’attenzione di chiunque guardi questo edificio, tra i più iconici della produzione di Gaudì, è la sua facciata anteriore, scolpita in pietra arenaria di Montjuïc. Partendo dal basso si trovano possenti colonne alla base del complesso, simili a zampe di elefante, aggettanti di sessanta centimetri sul marciapiede antistante e dimensionate in modo tale da amplificare e valorizzare al meglio le qualità spaziali dell’edificio (che sembra molto più grande di quello che è realmente).
La facciata è in movimento, appare vibrante, moderna, ma al contempo senza tempo, unica, strana, affascinante. Sembra un vigoroso inno alla negazione della linea retta, incompatibile con la natura curvilinea delle forme naturali, amate da Gaudì.
Tra le tante peculiarità della facciata c’è il suo rivestimento ceramico che dona a casa Batlló un aspetto magico e fiabesco, ampliato ulteriormente dalla fantasmagoria di dischi di maiolica frammentata e di vetri istoriati in essi inseriti.
Le ceramiche iridescenti, realizzate dalle manifatture di Palma di Maiorca, sono variamente disposte in modo da massimizzare la captazione e il riverbero della luce solare. Nei giorni più assolati si generano degli effetti cangianti, che richiamano la ribollente superficie di un’onda del Mediterraneo, quando s’infrange su un litorale roccioso.
Per citare Rainer Zerbst, autore di importanti libri su Antoni Gaudì, davanti alla facciata anteriore della casa «si ha l’impressione di essere di fronte alla creazione di una mente staccatasi dalla realtà, per immergersi nei propri sogni e nelle proprie visioni».
Notevoli sono poi anche i balconi della facciata posteriore della casa, che per la loro forma bizzarra sono stati paragonati a maschere teatrali, a pipistrelli, ad alghe o anche a crani umani. In pratica ognuno ci vede quello che vuole.
La fisionomia organica è indubbiamente rintracciabile in questo lavoro, i pilastri di supporto sono come ossa in ghisa verniciate con carbonato di piombo, in modo da rallentarne l’ossidazione, i balconi sono nove, oltre ai quattro terrazzi aggettanti sulla tribuna. Organiche anche le protuberanze delle finestre, il tutto culmina nel tetto a declivio, anch’esso ricoperto da tassellature sfolgoranti, che sembrano scaglie di un grande e antico rettile primordiale, come un drago variopinto. Sul tetto, si trovano in fine anche dei comignoli color verde erba e una torretta cilindrica decorata con gli anagrammi di Gesù (IHS), Maria (M con la corona ducale) e Giuseppe (JHP) e sormontata dal classico pennacchio gaudiano a forma di croce orizzontale, a simboleggiare i punti cardinali. Tutti riferimenti alla fervente religiosità di Gaudí, ma anche elementi di una mappatura esegetica del complesso edilizio, con rimandi al noto episodio di San Giorgio che uccide il drago.
Questo edificio non è solo originale e molto bello, ma funzionale, ricco di spunti e da forma non solo a delle fantasiose visioni, ma a delle precise e profonde riflessioni.
Antoni Gaudí e la Casa Milà (La Pedrera)
Casa Milà, nota anche come La Pedrera (“cava” in catalano), è l’ultima opera civile di Antoni Gaudí, l’iniziò nel 1906, per portarla a compimento nel 1912. Si tratta di un’opera considerata “moderna” e non modernista. Inserita anch’essa nell’elenco del patrimonio mondiale nel 1984, insieme a Park Güell e Palau Güell, è stata uno dei primi siti dell’era industriale a essere inserito nella lista dei luoghi più eccezionali a livello mondiale. Il suo soprannome “La Pedrera” deriva dal suo aspetto esterno, che vede un grande utilizzo della pietra, prevalentemente impiegata nella facciata e dei balconi.
Gaudí non ha ultimato La Pedrera come avrebbe voluto a causa di discordanze con la famiglia Milà. Inizialmente voleva inserire una grande scultura della Vergine Maria sulla vetta dell’edificio, idea che però non venne ben accolta dalla committenza. Si è trovato in disaccordo non solo con la famiglia, ma anche con i vicini e con lo stesso Comune di Barcellona.
Casa Milà vanta una delle terrazze più interessanti e memorabili dell’intera città, grazie ai camini scultorei e alle prese d’aria che Antoni Gaudí ha progettato per questo edificio, trovando un equilibrio unito tra estetica e funzionalità. Seguendo il suo stile abituale, Gaudí ha dato vita ad una terrazza estremamente ricca di curve, consentendo una migliore distribuzione della luce e dell’aria attraverso i due grandi patii.
Dalla terrazza della Pedrera si vede peraltro la Sagrada Familia, proprio come accade anche per la terrazza di Casa Batlló, l’architetto ritagliò uno spazio da cui ammirare la sua opera più grande e importante.
Antoni Gaudí e La Sagrada Família
Molte come detto furono le opere civili che negli anni videro coinvolto Antoni Gaudì, ma probabilmente, almeno in parte queste iniziarono a lasciarlo insoddisfatto, peraltro era permeato da una profonda fede, a partire dal 1914 volle quindi dedicarsi esclusivamente ai lavori della Sagrada Família, la sua opera più ambiziosa e quella per la quale oggi tutti lo ricordano.
Nel 1883 Gaudí ricevette la commissione di procedere alla costruzione di una chiesa, iniziata a dire il vero già da un architetto di nome Francisco de Paula del Villar y Lozano, denominata Basílica i Temple Expiatori de la Sagrada Família.
Si trattava di una costruzione monumentale e decisamente complessa, che non a caso ha richiesto alla fine 140 anni di lavori, che sono ampiamente continuati dopo la morte di Gaudì.
Questa chiesa, che divenne il suo più straordinario capolavoro assorbì le energie dell’architetto fino alla morte, diventando la perfetta ed emblematica associazione tra arte, architettura e vita che caratterizzò l’intensa opera di Gaudí.
La Sagrada Família segnò un vero e proprio spartiacque che potremo definire esistenziale nella vita di Gaudì che accettando questa commissione si sentì investito da un rigido imperativo mistico e spirituale, mise la testa a posto,smise di frequentare l’alta società e sposò uno stile di vita frugale, quasi ascetico, si concentrò esclusivamente sulla costruzione di quello che venne pensato come un altare espiatorio.
Gaudí mostrò le sue incredibili idee per la Sagrada Família al nunzio papale, il cardinale Francesco Ragonesi nel 1915 e questi lo definì subito come il «Dante dell’Architettura».
Con l’innalzarsi della costruzione lo stile divenne della chiesa sempre più fantastico, con quattro torri affusolate che ricordano i termitai o i gocciolanti castelli di sabbia dei bambini. Si tratta di forme ereditate dell’architettura neogotica, secondo i cui canoni la chiesa era stata inizialmente concepita, ma che hanno trovato soluzioni tecniche del tutto nuove e ardite.
Le torri sono coronate da cuspidi di forma geometrica alte 115 m, rivestite di ceramiche dai colori vivaci, che furono probabilmente influenzate anche dal cubismo. Vi si ammirano anche un gran numero di decorazioni elaborate che vengono ricondotte allo stile dell’Art Nouveau, molto di moda in quegli anni. Come in altri lavori di Gaudì e se possibile con ancora maggiore evidenza e prorompente forza, l’architetto ha trovato una sintesi tra statica ed estetica, con forme fortemente naturali, morbide, organiche e sorprendenti. Nel giugno 1926, ben prima che venisse completata la costruzione della Basilica, Gaudí morì improvvisamente in un incidente, venne travolto da un tram mentre passeggiava per Barcellona e probabilmente era sovrappensiero, proprio concentrato sulla sua opera.
Durante la sua vita Gaudí riuscì a realizzare soltanto la facciata della Natività (con le sculture di Carles Mani, Llorenç Matamala e Joan Matamala e i disegni di Ricard Opisso) completando solamente una delle torri, ovvero quella di San Barnaba. Alla sua morte il suo assistente Domènec Sugrañes assunse la responsabilità dell’opera (dal 1926 al 1936), portando a compimento le tre torri incomplete della facciata della Natività. I lavori continuarono nei decenni a seguire, senza tradire lo spirito del grande architetto e oggi si possono dire sostanzialmente conclusi, anche se vista la grandiosità e complessità dell’opera la si può anche intendere come un cantiere perennemente aperto, se non altro per la manutenzione.
Lorenzo Renzulli
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